Premio internazionale Paolo VI

IL PREMIO PAOLO VI A MATTARELLA:

IL 29 MAGGIO IN VATICANO CON PAPA FRANCESCO

Per entrambi la politica, il fare politica, è un servizio allo Stato e alla collettività. Un’idea alta di politica, maturata lungo percorsi di formazione, che non è retorica ma è l’unica strada da seguire, anche (e soprattutto) in questi nostri tempi segnati invece (troppo spesso) da tutt’altro stile. Così la pensava Giovanni Battista Montini, e così la pensa Sergio Mattarella. Un comune sentire che ha portato l’Istituto Paolo VI di Concesio ad assegnare la settima edizione del premio nel nome del pontefice bresciano proprio al presidente della Repubblica.
Il Premio internazionale Paolo VI verrà consegnato da papa Francesco, che con entrambi ha profondi legami di stima e affetto. In sala stampa vaticana l’annuncio ufficiale: la cerimonia il 29 maggio in sala Clementina in Vaticano.
La data ovviamente non è certo causale, quel giorno è dedicato alla memoria liturgica di san Paolo VI (che in quel giorno del 1920 divenne sacerdote nel duomo di Brescia); papa Montini ha guidato la Chiesa cattolica dal 21 giugno 1963 fino alla morte il 6 agosto 1978, la consegna del premio avviene quindi anche a pochi giorni dal sessantesimo anniversario dell’elezione a successore di Pietro.
Francesco lo ha beatificato nel2014 e canonizzato nel 2018. «Nei confronti di questo grande Papa – disse papa Bergoglio – di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: grazie! Grazie nostro caro e amato papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!».
«Il premio intende in particolare riconoscere la fecondità culturale del messaggio cristiano, capace di promuovere un autentico umanesimo – ha spiegato don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI –. L’attribuzione al capo dello Stato intende sottolineare come l’azione politica e il servizio al bene comune nell’esercizio delle diverse funzioni istituzionali siano uno degli ambiti significativi in cui ciò può avvenire».
Andrea Riccardi, storico e membro del comitato scientifico dell’Istituto montiniano, ha sottolineato che «c’è stata una riflessione se riprendere il premio (l’ultima volta è stato assegnato nel 2009 a Concesio da Benedetto XVI, ndr) e se offrirlo al presidente Mattarella, il quale mi sembra non è consueto accettare premi e riconoscimenti», ma la scelta è poi maturata «per una consonanza, una continuità tra queste due figure, pure lontane nel tempo e con curve esistenziali estremamente diverse». Ha quindi aggiunto: «Ho percepito, ma è un’impressione personale, che è proprio il rispetto,
vorrei dire anche la venerazione, per la figura di Paolo VI, che hanno spinto il Presidente ad accettare questo premio».
È stato ricordato il brano di una lettera che scrisse al padre Giorgio che nel 1924, con Benito Mussolini ormai al potere, era incerto sulla scelta di candidarsi alle elezioni politiche con il partito popolare. Il figlio lo incoraggia ad accettare la candidatura ed a assumere la responsabilità che ad essa è legata: «Uno dei pericoli più gravi per un paese – scrive il futuro Paolo VI – è che dalle sue correnti politiche debbano esulare gli onesti, i probi, i competenti, è quindi atto di civile virtù restare anche quando si debba restarvi come superati e come sconfitti; e la Provvidenza, se deve da qualche pretesto umano trarre motivo alle sue misericordie, certo si piegherà a benedire quei popoli per cui gente disinteressata ha perduto la gloria propria per salvare l’onore».
Montini, che secondo Francesco Cossiga era il cofondatore della Democrazia cristiana, «ha formato al senso della responsabilità un’intera classe dirigente del mondo cattolico – ha sottolineato Riccardi –, Mattarella è ovviamente anagraficamente successivo, ma si inserisce nel solco di quella tradizione, ha raccolto l’eredità del grande lascito anche intellettuale di Paolo VI, ha raccolto l’eredità dei padri della democrazia».
Paolo VI ha richiamato spesso il carattere concreto dell’azione politica, scriveva nella lettera apostolica Octogesima adveniens: «È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzitutto la conversione personale. Questa umiltà di fondo toglierà all’azione ogni durezza e ogni settarismo ed eviterà altresì lo scoraggiamento di fronte a un compito che appare smisurato».
«Montini – ha detto Riccardi – era convinto che il cattolicesimo dovesse essere parte attiva nella democrazia, farsi parte ma non di parte. Ora il testimone di questa storia è nelle mani di Mattarella». (Francesco Alberti, Giornale di Brescia del 20 aprile 2023)

QUEL LEGAME SPECIALE DEL PRESIDENTE CON MONTINI E BRESCIA

Negli otto anni al Quirinale Sergio Mattarella si è sempre dimostrato restio ad accettare riconoscimenti pubblici, «ma dietro il sì al Premio Internazionale Paolo VI», spiega Andrea Riccardi, «intuisco tutto il rispetto, direi quasi la venerazione del nostro presidente nei confronti della figura di Paolo VI». Né poteva essere altrimenti: Giovanni Battista Montini il capo dello Stato lo ha conosciuto e frequentato fin dalla sua infanzia. Negli anni dell’immediato dopoguerra e della ricostruzione, l’allora Sostituto di Segreteria di Stato era, infatti, di casa nella famiglia di Mattarella che si era trasferita a Roma dalla Sicilia per gli incarichi parlamentari e governativi del padre Bernardo, un giurista antifascista palermitano, amico stretto di Alcide De Gasperi e di Aldo Moro, che con lui erano stati i fondatori della Democrazia cristiana. Nella capitale i fratelli Piersanti e Sergio giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro, e qualche volta il padre invitava a cena quel monsignore bresciano che sarebbe stato destinato poi a «fare carriera» prima a Milano come arcivescovo e cardinale della più grande diocesi al mondo, e quindi di nuovo a Roma come Pontefice.
Ed è in questo contesto che matura nel Mattarella giovane l’idea della politica come servizio al bene comune – come «forma della carità cristiana» l’avrebbe definita Paolo VI. Negli anni da universitario, quando era responsabile anche del Movimento studenti dell’Azione Cattolica di Roma e del Lazio tra il 1960 e il 1964, Sergio ebbe ulteriori occasioni di conoscere da vicino Paolo VI e di apprezzarne le doti umane, culturali e spirituali. Una frequentazione, questa, che era condivisa con il fratello maggiore Piersanti, che sarebbe poi stato assassinato in un agguato di stampo mafioso nell’Epifania del 1980 mentre ricopriva la carica di presidente della Regione Sicilia.
Non è stato dunque un caso che il 6 settembre 2016, Mattarella abbia voluto concludere la sua prima visita a Brescia come capo dello Stato, recandosi a Concesio per visitare in forma privata la casa natale del Papa, l’Istituto Paolo VI e la Collezione di arte contemporanea, un’altra grande eredità montiniana oggi conservata e valorizzata dall’Associazione Arte e Spiritualità. Un passaggio emotivamente intenso, durante il quale il presidente, oltre a incontrare i familiari del Pontefice, ebbe modo di conoscere più da vicino e di apprezzare l’attività dell’Istituto che ora gli conferisce il riconoscimento internazionale, incoraggiandone il lavoro di ricerca storica e teologica fondato sulla raccolta e sulla conservazione degli archivi relativi alla vita e all’opera di Montini.
Ma c’è un altro forte legame di amicizia che in qualche modo vincola il presidente a Brescia, ed è quello che lo ha unito a Mino Martinazzoli: accomunati, entrambi, dalla passione politica e dalla militanza democratico cristiana, insieme allo studio del diritto che ha portato il futuro presidente della Repubblica alla guida della Corte costituzionale, e il parlamentare bresciano alla carica di ministro della Giustizia. Nella sua visita in città nel 2016, organizzata per l’inaugurazione a Palazzo di Giustizia di un’aula dedicata a Martinazzoli nel quinto anniversario della sua morte, Mattarella richiamò il concetto di mitezza in politica, così caro all’ex Guardasigilli. «La politica mite – furono le parole del Presidente – è propria di chi è convinto delle sue opinioni e non pretende di imporle», perché, sottolineò, significa esaltare il valore del dialogo secondo un atteggiamento che «invita a trovare le ragioni che ci uniscono prima di quelle che ci dividono». Una certa idea di politica, che affonda le sue radici nella grande lezione spirituale ed etica di Paolo VI, e che nell’incertezza e nelle paure che percorrono oggi la vita sociale e civile italiana, ma non solo, meriterebbero ben altra attenzione ed elaborazione. E in questo senso il Premio Paolo VI a Mattarella può offrire l’opportuna occasione per rilanciarle nel nostro dibattito pubblico con una più ampia eco.
(Gabriele Colleoni, Giornale di Brescia del 20 aprile 2023).